Coincidenze, sovrapposizioni, rimandi e raddoppi, o viceversa relazioni incongrue, parti mancanti, situazioni incomplete, il tutto giocato in un colpo che si vuole sempre unico e isolato: mi pare che vengano qui utilizzate le modalità e le consuete figure retoriche della fotografia di strada più recente, che in generale mira a presentare la varietà del mondo sotto l'aspetto di un ubiquo e bonario teatro dell'assurdo surreale, ma tutto sommato non troppo perturbante. Una fotografia che punta a stupire subito e quindi non troppo interessata ad approfondire se è vero che le stesse figure retoriche e gli stessi espedienti (e le stesse immagini) vengono utilizzati da decine di fotografi ovunque nel mondo, che quindi pare annullato nella propria diversità. C'è da chiedersi se questa ricerca dello stupore miri come accadeva nei lontanissimi maestri a revocare le solite abitudini visive e ideologiche, a straniare, aprendo lo sguardo e la mente allo sconosciuto, o se viceversa non sia oggi così prevedibile da funzionare al contrario come conferma di un immaginario tutto sommato confortevole e mainstream. Così come riesce strano leggere di "spontaneità" - una capacità peraltro estremamente sopravvalutata - di fronte a un utilizzo così massiccio di format consapevoli. L'impressione semmai è la sopravvivenza di una autorappresentazione un po' mitologica del fotografo immerso nel flusso e così dimentico di sé da diventare parte del reale di cui riesce a rivelare l'essenza poetica per illuminazioni rapsodiche ed estemporanee, quindi uniche. Una figura romantica che in effetti mal si accorda col mestiere e lo studio necessario a produrre risultati "di scuola" così coerenti con il genere.